Il caffè gorgoglia lento nella moka. È già il secondo che bevo da quando sono in piedi. Mi siedo, agguanto un pezzo di torta cucinata durante l'ennesimo pomeriggio di noia, picchietto sui tasti del telecomando.
Accendo la tv.
Al telegiornale ribadiscono la complicata situazione degli ospedali a causa del Covid. Cambio canale. Nel solito programma mattutino spiegano ancora una volta come lavare le mani e indossare la mascherina. Cambio canale. Una donna ai fornelli mostra come preparare un pranzo ipocalorico per mantenere la linea in quarantena. Cambio ancora. Nella pubblicità di una banca una voce fuori campo rassicura impegno e vicinanza in questo momento di difficoltà.
Spengo la tv.
A volte vorrei solo dimenticarmi di tutto questo, illudermi che se sto a casa è perché sono stata io a deciderlo. Finisco di bere il caffè, mi alzo e scivolo verso il bagno.
Mentre mi lavo i denti scorgo il mio volto allo specchio. Non mi nascondo dietro strati di fondotinta da un'eternità. Seguo con la punta dell'indice la linea delle occhiaie, le rughe vicino gli angoli degli occhi, poi pettino le sopracciglia folte quasi come il Cugino Itt. Mi sporgo ancora di più verso il vetro. Chino leggermente la testa verso il basso, esamino l'orrida ricrescita che corre lungo i miei capelli ormai perennemente arruffati. Indietreggio quanto basta per contemplare la maglia del pigiama in tutta la sua tristezza. Tra un po' verrà rimpiazzata dalla sua fedele alleata giacca della tuta. Vorrei la pazienza di acchittarmi come le celebrità sui social, invece sembro un ritratto di Picasso. Sospiro.
Torno in cucina, acciuffo il telefono, compongo il numero di mia madre.
Risponde quasi subito. Il timbro della sua voce è rauco, come quello di chi si è appena alzato, come quello di chi ha perso l'abitudine di parlare.
Le chiedo come sta, se ha dormito, cosa farà oggi.
Mentre parla la immagino volteggiare lenta da una stanza all'altra, ordinare cassetti colmi di vecchi gingilli, spolverare l'argenteria impilata sulle mensole del salotto. Cos'altro potrebbe mai fare chiusa in quella enorme casa vuota?
Ad un certo punto cala il silenzio. Non è raro che succeda, ultimamente. Non sappiamo cosa dirci. Non abbiamo molto da dirci. Le nostre giornate sono lancette che segnano sempre la stessa ora. Le chiedo notizie dello zio, fingendo di non averne.
- L'ho chiamato ieri. Sta meglio, ha ripreso un po' l'appetito. Ha rifatto il tampone, lui e la zia stanno aspettando i risultati, speriamo bene - .
Il ricovero è durato circa due settimane. Poche linee di febbre, poi la tosse, infine la grave fatica a respirare. Sessant'anni, iperteso. Temevamo il peggio. Ora invece è a casa.
Chiacchieriamo del più e del meno per un altro po', poi ci salutiamo. Sospiro di nuovo. Viviamo lontane una manciata di chilometri, mi erano parsi persino pochi appena trasferita. Oggi mi sembrano infiniti. Vorrei avvolgerla in una spessa pellicola che la isoli dal virus e da tutte le sue penose conseguenze. Finché non ha colpito lo zio davo a tutto questo poco peso. Mi ero accoccolata nella comoda logica del "tanto capita solo agli altri". Come quando osservi un'onda lontana che credi non potrà mai travolgerti, e incauto continui a camminare lungo la battigia.
Adesso, invece, ho più consapevolezza.
Adesso, invece, ho più paura.
CHE COSA MI SUCCEDE?
Mortalità ed elevata velocità di trasmissione: sono queste le due drammatiche caratteristiche del Coronavirus che hanno messo in ginocchio la nostra quotidianità, imponendocene una fatta invece di distanza, incertezze, paura, perdite.
Questo scomodo ma inevitabile "fermi tutti" ci ha intrappolati ognuno nel suo nido, non importa se quello di una vita o temporaneo. Alcune famiglie e coppie si sono trovate sotto lo stesso tetto prima di rimanere bloccate. Tanti studenti, invece, sono rimasti soli e incastrati in città fantasma lontane dai parenti. Così molti lavoratori, che nei casi più gravi non solo hanno dovuto fermare la propria attività, ma l'hanno vista anche fallire. Per non parlare di quegli anziani ritrovatisi improvvisamente isolati.
A prescindere da come e con chi, insomma, per nessuno di noi è stato facile, né lo è tuttora. Mantenere la distanza dalle persone care, modificare la maggior parte delle proprie abitudini, convivere riducendo al minimo la libertà personale: queste misure, infatti, essenziali per tutelare la nostra salute fisica, pesano invece come un macigno su quella mentale.
Soffriamo perché il legame con ciò che è fuori dalle nostra mura di casa o è virtuale, o ci spaventa.
Soffriamo perché il tempo passa e ci sembra di non starlo vivendo. Soffriamo perché pur proteggendoci, a volte capita che non ne siano stati in grado i nostri cari.
Soffriamo perché spesso decidiamo di chiuderci e implodere, piuttosto che lasciarci aiutare.
Opmerkingen